lunedì 14 aprile 2014

Mi sposto: integro il blog nel sito www.genitoriedintorni.it

Lo ammetto: non avevo previsto che il blog avrebbe preso una piega di interesse generale (lo avevo detto, io, nella presentazione, che non sapevo bene cosa scriverci!).

E non mi aspettavo che avrebbe riscosso successo. Che il post dei bambini che smettono di piangere quando le mamme li trasportano avrebbe avuto ciclicamente picchi di visualizzazioni importanti (per i miei standard e calcolando che è solo il mio ottavo post!).

Quindi: ora che le idee si sono un po' chiarite, è diventato lampante che il blog deve avere uno spazio nel sito. 

Perché ci sono io, dietro il blog, nel mio ruolo di mamma ma non solo. E non come protagonista. 

Protagoniste voglio che siano le informazioni e le curiosità legate a mamme, papà e bambini. Connesse o meno al territorio in cui vivo. Poco importa. 

Il blog, nel sito, diventerà principalmente il mio spazio di esplorazione di realtà e questioni a me poco  o per nulla conosciute. Un ambiente in cui condividere le risposte alle mie curiosità e in cui raccontare tutto ciò che mi pare degno di approfondimento. 

Un piccolo lusso che mi voglio concedere: usare il blog per scrivere di cose che attirano la mia attenzione... augurandomi che anche per altri si tratti di letture interessanti!

Bando alle ciancie, quindi: ecco dove potete continuare a leggere "Una mamma a Trento e dintorni"


http://www.genitoriedintorni.it/it/blog/


La nuova pagina del blog sul sito www.genitoriedintorni.it


Vi aspetto li!

Maria Paola

venerdì 28 marzo 2014

Il neonato piange? Prendetelo in braccio e camminate: smetterà. Paroladi ricercatore!

Un bambino piange disperato. Ha pochi mesi, forse solo qualche settimana. Proviamo ad accarezzarlo, coccolarlo, e poi cediamo: lo prendiamo in braccio iniziamo a muoverci. E lui, magicamente, si calma. Dopo un po', stanchi, ci sediamo. Ed ecco ricominciare il pianto inconsolabile. Ci alziamo, e smette. Ci dondoliamo da seduti, da mezzi seduti, da solo appena appena appoggiati, ma non c'è nulla da fare! Pare il piccolo abbia un sensore: si calma solo se ci muoviamo stando in piedi, e senza possibilità di barare.


So che ogni genitore ha vissuto questa esperienza, e che almeno una volta nella vita vi siete chiesti "perché?!"

Ecco... La spiegazione scientifica esiste!

Quando una delle autrici della ricerca* (Maria del Carmen Rostagno, Dottoranda di Ricerca in Scienze Psicologiche e della Formazione dell’Università degli Studi di Trento, presso il Laboratorio di Osservazione Diagnosi e Formazione diretto dalla Prof.ssa Paola Venuti)me ne ha parlato, mi sono perfino emozionata all'idea che un team italo-giapponese abbia compiuto studi approfonditi per comprendere il motivo alla base di questo comportamento.

Curiosi?
La ricerca è partita con la constatazione effettiva del fatto che il pianto del bambino (fra 0 e 6 mesi d'età) si modifica in intensità a seconda del tipo di contatto con la madre: nella culla è più intenso, e spesso correlato ad una maggiore attività fisica, si placa lievemente quando il bambino viene preso in braccio da seduti, e solitamente si cheta quando viene trasportato in piedi.

Lo studio conferma quanto migliaia di genitori hanno provato sulla loro pelle.

Dove sta la novità? Sta nel fatto che il ricercatore non si ferma all'osservazione, classificando il fenomeno con un "eh, sono capricci! Gli piace guardarsi intorno e stare con la mamma, e se lo assecondi lo vizi!".

No: compito del ricercatore è comprendere cosa sta dietro gli atteggiamenti. E quindi il gruppo ha proseguito l'analisi studiando il battito cardiaco dei bambini sottoposti all'esperimento (passaggi fra culla, mamma seduta e mamma in piedi che cammina), scoprendo che questo cala quando i bambini vengono presi in braccio. Un elemento che, valutato congiuntamente all'attività fisica ed all'intensità del pianto, ha portato a concludere che i neonati sono più rilassati (sia a livello comportamentale che a livello fisiologico) mentre vengono trasportati.

L'analisi si è quindi spostata su altri mammiferi (topini), e si è notato che anche questi, quando trasportati dalla madre, tendono a immobilizzarsi e mantenere una postura compatta, a calare le vocalizzazioni (si: anche i topi vocalizzano, ma sono ultrasuoni che noi non percepiamo) e il battito cardiaco. Tutto concorda con quanto accade nei piccoli umani.

Quale può essere il significato funzionale che accomuna le risposte dei due generi di cuccioli?

La ricerca è giunta alla conclusione che smettere di piangere, immobilizzarsi e adottare una postura compatta anche da parte dei neonati nasca dall'esigenza (insita nel nostro stato di mammiferi) di facilitare il trasporto materno in modo da aumentare le probabilità di salvezza in caso di pericolo.

È un istinto di sopravvivenza, dunque, e non un capriccio, quello che fa calmare i piccoli quando i genitori li prendono in braccio e li trasportano.

Non so se questo farà sentire meglio o peggio chi è ancora alle prese con piccolissimi cuccioli d'uomo piangenti. Di sicuro per gli scienziati avrà importanti ripercussioni nel definire le reazioni "normali" dei neonati, base fondamentale per rilevare e comprendere con notevole precocità quegli scostamenti che sono potenziali sintomi di qualche patologia.

E anche noi genitori abbiamo ora un mezzo in più per placare i bambini.
Ovvero: se il nostro piccolo piange per motivi transitori (uno spavento, per esempio), alzarci e passeggiare lo aiuterà a superare il momento difficile più rapidamente.
Se invece si tratta di cause persistenti (dolore o fame), il bambino riprenderà il suo pianto non appena la mamma smetterà di trasportarlo. Ma -almeno finché non crolliamo stravolte per le lunghissime passeggiate con bimbo-in-braccio - adesso sappiamo che c'è un modo per far smettere meccanicamente il pianto per un po', dando tregua alle nostre orecchie (e, ammettiamolo, ai nostri nervi).

 Ora che siete più consapevoli, vi alzerete  con più entusiasmo quando il costo piccolo piange? 

*Per quelli che vogliono approfondire, ecco i riferimenti per trovare informazioni più scientifiche e dettagliate:

Esposito et al. 2013 Current Biology “Infant Calming Responses During Maternal Carrying”
E c'è pure un video su YouTube

mercoledì 19 marzo 2014

Il difficile compito di educare i figli

Esiste l'educazione perfetta? E - soprattutto - il concetto di "educazione" è un concetto universalmente valido?



Quando sono diventata mamma - per cercare di fare meno danni possibili - ho letto molti libri sui bambini, su come dare loro input positivi. Ho trattenuto qualche informazione, ho rifiutato diverse standardizzazioni, ho fatto mie alcune modalità che mi sono parse adatte a mia figlia e a me.
Di comune accordo con mio marito abbiamo optato per pochi no, ma decisi e solidi. Su quello che non è davvero importante, lasciamo correre.

L'idea era buona, ma mi accorgo che non sempre riesco ad applicarla, e certe volte cedo per sfinimento (sento di non avere l'energia per impormi). Lo so, è un grosso errore. Ma davvero la mia bimba ha la stessa capacità di insistere di un martello pneumatico. E ci sono momenti in cui le mie energie sono pressoché nulle.

Comunque ciò che mi manda in tilt completo, e mi lascia un forte senso di smarrimento e insicurezza, sono i capricci "pesanti". Capita di rado, ma ogni tanto si arriva - di solito per stanchezza - ad un punto in cui non pare possibile trovare l'uscita. La rabbia di Matilde cresce, a volte sfocia in mani alzate contro di me. Fermarla è difficile. A volte ci provo con la dolcezza, cercando di farla ragionare; a volte con l'ironia, cercando di distoglierla dalla rabbia facendola ridere. A volte non funziona, e incappo nell'errore peggiore - almeno con la mia piccola - il muro contro muro; è come infilarsi in un vicolo cieco: lei è testarda e non cede. Io non posso fare passi indietro, a quel punto, sennò temo che lei percepisca la cosa come una debolezza, e non vorrei peggiorare le cose.

E quando mi trovo in queste situazioni penso sempre a quanto sia duro il lavoro dei genitori, e a come mai non ci diano il libretto delle istruzioni!
Il compito dell'educatore è così importante, e noi, che siamo le figure di riferimento primarie, siamo spesso le più disinformate su quali possano essere i meccanismi, le connessioni causa - effetto  nelle nostre azioni e in quelle dei nostri figli.

I più bravi si informano, cercano di capire e trovare strade. Altri si arrabattano. Molti agiscono secondo coscienza e buonsenso. 

Credo molto che il nostro essere genitori rispecchi il nostro vissuto di figli. 

E quindi mi chiedo: come trasmettere a mia figlia ciò che di positivo hanno trasmesso a me i miei genitori (serenità, sicurezza, rispetto per il prossimo e valori), ed evitarle magari altre difficoltà che io ho incontrato (penso - per esempio - alla scuola o all'indecisione sul futuro, all'incapacità di affrontare discussioni o di gestire certe situazioni)?

E sull'educazione ho un'altra questione in cui mi sento divisa: io sono cresciuta in un'epoca in cui la cultura genitoriale portava ad avere attenzione e rispetto per i figli, ma in cui le esigenze di mamma e papà erano comunque in primo piano (senza nuocere ai figli, ovviamente!).
Oggi ho l'impressione che la nostra società sia figliocentrica. I figli prima e sopra ogni cosa. Ed è corretto. Ma fino a che punto? Qual'è il limite fra le esigenze di mio figlio e le mie di genitore? Chi deve seguire chi? 

Perché se io dovessi seguire sempre l'estro di mia figlia, vivremmo in casa guardando la tv! Ma ci sono anche cose in cui forse è corretto ascoltarla e seguire i suoi desideri (se non vuole andare alla festa di una sua amica, per esempio, non mi pare giusto costringerla).
Però, se io devo fare una commissione dopo la scuola (perché mentre lei è scuola io lavoro!), e lei non vuole andare a passeggio in città? Ha ragione lei, o devo portarmela a forza? 

Si, è un post pieno di domande, senza certezze e risposte. Perché vivo il mio essere mamma proprio mettendomi in discussione quotidianamente. Chiaro che queste domande non mi immobilizzano, e vivo momento per momento, agendo secondo ciò che mi pare meglio. Ma nei momenti in cui mi fermo, medito spesso. Augurandomi che, nei miei dubbi, troverò il percorso meno dannoso per il bene di tutta la famiglia.

mercoledì 5 marzo 2014

Riflessioni sulle mamme lavoratrici

Una delle cose più complicate dell'essere diventata mamma - per me - è la gestione dei tempi di lavoro.

Sono libera professionista: niente maternità (avevo appena aperto partita iva, e non avevo raggiunto il limite minimo di entrate per farne richiesta), niente malattia, niente ferie pagate.
Può non servire una babysitter se Matilde non va a scuola, perché lavoro a casa. Ma sono consapevole che è "abbandonata" a se stessa davanti alla tv (con programmi adatti alla sua età). A volte colora accanto a me, ma si stufa presto, e parte con le mille domande e richieste, e ci metto il triplo del tempo a portare a termine ciò che mi sono prefissata di fare.

Matilde ha avuto la sua prima babysitter a 3 mesi. Veniva 2 volte in settimana per 3 ore, e intanto mi bastava per gestire una piccola parte di lavoro urgente; a 6 mesi abbiamo trovato un nido privato che l'ha presa 2 volte in settimana fra le 9 e le 16. E il lavoro è potuto aumentare.

L'anno dopo abbiamo avuto accesso al nido pubblico, e - 2 anni dopo - è iniziata la materna. In entrambi i casi Matilde è sempre fra le ultime ad andare via.
Fare le cose insieme

Il problema del lavoro - almeno per quello che mi riguarda - non è comunque solo legato all'accudimento.
Si: sono sempre di corsa a prendere Matilde a scuola, lavorando spesso fino all'ultimo secondo. Si: rinuncio spesso a corsi ed aggiornamenti, che pure per il mio lavoro sono tanto importanti, perché si svolgono lontani da casa.

Ma al di là e al di sopra di tutto questo ci sono delle cose che non risolvo con l'aiuto del marito o con una baby sitter.

Si tratta di un qualcosa che sta dentro di me, una vocina che mi dice che la mia bimba è giusto che io la veda, che trascorra del tempo con lei. Se ho periodi di super lavoro, o fine settimana impegnati, lei mi manca. E anche se è con il padre, sono consapevole che IO non ci sono.

Il senso di colpa serpeggia - lontano lontano - e mi fa sentire scomoda nel mio ruolo di madre "imperfetta".

Ho sempre pensato che l'esempio di mia madre, vissuto sulla mia pelle da bambina, non avrebbe lasciato spazio a questo tipo di sensazioni.
La mia mamma non era una donna che stava a casa: era una soprano e girava sempre per lavoro. 2 giorni a Milano, 4 a Roma, 7 a Palermo... era la norma, e io non mi sono mai sentita poco amata o abbandonata. Avevo nostalgia, ma grazie a lei sono cresciuta con la consapevolezza di quanto sia importante fare un lavoro che si ama, riuscendo a essere al contempo una mamma meravigliosa e presente.

Devo precisare che non riuscirei a non lavorare, anche se me lo potessi permettere economicamente: amo ciò che faccio, faticherei a rinunciare alle sfide che il lavoro mi porta ad affrontare, e alle soddisfazioni che a volte mi da. E la mamma a tempo pieno temo non sarei in grado di farla, perché mi manca la pazienza, e non sono capace di stare un pomeriggio con le bambole in mano a giocare. Anche se mi accorgo che è più facile stare con mia figlia quando mi riesce di accantonare il pensiero del lavoro dedicandomi completamente a lei.

Pensa che ti ripensa, ho capito che il problema non ha una soluzione. Credo che per una donna diventare mamma implichi una lacerazione - a livello più o meno profondo - fra i diversi ruoli che ricopre nella sua vita. Fra ciò che era prima e ciò che la maternità porta ad essere (che sia per convinzione personale o per il modo in cui la società porta a percepire questo status).

Io cerco di impegnarmi a mantenere un equilibrio. Quando gli impegni me lo impediscono, so che vedo meno Matilde, e le chiedo di portare un po' di pazienza.

Appena ne vedo la possibilità, però, trovo il modo di stare con lei, e fare ciò che lei vorrebbe: trascorrere del tempo con i suoi amici, per esempio, o colorare insieme, o giocare con le costruzioni.

Cerco, insomma, di raggiungere compromessi accettabili per convivere con le varie parti di me, consapevole che io sono la somma di tutto ciò che vivo e di tutto ciò che sono: mamma e lavoratrice, ma anche moglie, figlia, donna, amica. E che tutto ciò che faccio "per me" avrà una ripercussione positiva sulla vita della mia bambina, perché rinunciare in toto al mio essere non mi renderebbe una persona migliore. Anzi, credo potrei diventare davvero irritabile e fastidiosa!

Ci sono voluti alcuni anni, e molte riflessioni. Ma una volta preso atto di questa realtà, la vita mi è parsa all'improvviso un filino più semplice.








mercoledì 19 febbraio 2014

Fare le cose insieme

Da quando Matilde è un po' più grandicella, una delle cose che mi piace tanto è fare alcune cose insieme. Bisogna dire che è piuttosto brava e paziente, e normalmente riesce a sopportare bene situazioni anche un po'noiose.

Se devo acquistare qualcosa per me, di solito le chiedo cosa ne pensa. E lei parte con il pollice verso su tutto ciò che non la convince. Ma che bello quando mi vede, per esempio, con un abito che le piace, e con un grande sorriso alza il ditino in segno di approvazione!

In profumeria, se le commesse hanno pazienza e non hanno troppo da fare, le cose sono piuttosto facili: ama un sacco i profumi, e quindi chiede se possono spruzzarle qualche essenza sui cartoncini per annusarla. Oppure osserva incantata gli smalti, perché la mia Matilde è piccola, ma è già molto donnina, e ama un sacco i trucchi (che usa per giocare a casa).

Coinvolgerla o intrattenerla, comunque, aiuta a superare meglio anche le cose più pesanti. E se al ristorante o in pizzeria ci aiutiamo con giornaletti da colorare, smartphone o tablet, in altre occasioni bisogna farsi venire delle idee, o assecondare le sue...
Qualche giorno fa, per esempio, abbiamo accompagnato il nonno che doveva cambiare la scheda del cellulare. Un iter che ha richiesto almeno 30 minuti. Mi stavo annoiando io, figuriamoci lei! E così ci siamo inventate che mi doveva pettinare. Sono uscita con i capelli sconvolti, ma ci siamo divertite in due (forse anche il nonno e qualche altro avventore che era in coda!).

Se scavo nella mia memoria, ricordo me piccolina che accompagnavo la mia mamma dal parrucchiere a fare decolorazioni, tinte e pieghe. Mi annoiavo, ma ero con la mia mamma, in un posto per "signore", e alla fine, di solito, facevano bella pure me!
Bambina dal parrucchiere
Matilde e la mamma da Hair Generation
Con questo dolce ricordo nel cuore, adesso mi piace prendere appuntamento per sistemare entrambe i capelli: magari non la faccio stare tutto il tempo di un colore, ma se mi raggiunge per una spuntatina mentre io finisco le mie cose mi fa un sacco piacere. Perché la vedo tutta brava, compunta, che risponde quando le chiedono se l'acqua va bene, dice quanto corti li vuole, e si gongola quando le fanno delle belle trecce prima di uscire! Devo dire che ormai conosce l'ambiente, le ragazze sono sempre super gentili con lei, e Giovanna la sa prendere nel modo giusto quando le accorcia i capelli.

La cosa che ancora è difficile è lo shopping stagionale per lei. A me piace andare per negozi a vedere le varie cose, facendo le grosse spese di cambio stagione (cresce così velocemente che pochi abiti si usano per due anni consecutivi). Ma solitamente a lei non piace nulla di ciò che le propongo. 

Così ho trovato un escamotage: prima di andare in negozio le mostro su internet i vestiti che troveremo, e le chiedo quali le piacciono. quando arriviamo in negozio, lei sa già più o meno cosa troverà, e io le mostro soprattutto le cose che già aveva approvato a casa e che anche a me paiono funzionali. 



venerdì 14 febbraio 2014

Mici Felici e l'arrivo di Holly

Nella mia vita ho avuto solo dei pesci rossi. Avevo credo 7, forse 8 anni. E una mattina li ho trovati morti. Uno si era buttato fuori dalla sfera d'acqua in cui li tenevo, l'altro galleggiava esanime a pancia in su.

Ci ho riprovato con Matilde piccolina: alla terza volta che sostituivamo uno dei due pesci (deceduti dopo si e no una settimana), abbiamo lasciato che la natura facesse il suo corso, e le abbiamo detto che Dorothy ed Elmo (si - ok - abbiamo fantasia in casa!) erano andati dal dottore. Ancora adesso ogni tanto la Mati se ne esce dicendo che i suoi pesciolini sono in ospedale perchè non stavano bene, e che le mancano tanto.


Per il mio compleanno abbiamo deciso di prendere un gattino. La proposta è arrivata da mio marito, dopo aver detto in diverse occasioni che sarebbe stata una cosa carina. Non sapevo bene che cosa aspettarmi. Io in primis, ma anche da Matilde. L'abbiamo preparata: arriverà un micio (anzi: una micia), sarà cucciolo, avrà il suo lettino, starà con noi. E tu dovrai trattarlo bene!


Pieni di emozione ci siamo attivati: mio marito ha sparso la voce, ma poi grazie ai genitori del mio gruppo Facebook Genitori a Trento e dintorni - fonte inesauribile di informazioni utili su tutto! - ho trovato Mici Felici.

Federica (Mici Felici) è una studentessa universitaria. Ma prima è un'amante dei gatti, una passione - mi racconta - che la accompagna fin da bambina. Ha iniziato a cercare padroni per i cuccioli della gatta del suo ragazzo nel 2007, e non ha più smesso: "Ho fatto foto e annuncio su internet per trovare una casa ai micetti, e ho scoperto che tante famiglie erano interessate. Così tante che ho aiutato anche i micetti nati nel vicinato ad essere adottati. E nel tempo si è sparsa la voce tra amici e parenti: dove c’erano gattini andavo a fare le foto e gli cercavo casa!" dice.

Visto l'aumento del "lavoro", si è informata, ha trovato un modulo che le assicurasse di poter avere notizie dei mici che venivano man mano adottati, finché nel 2009 conosce la prima volontaria grattara e il mondo delle colonie feline. Da li ha iniziato a fare le catture e le sterilizzazioni, e ad occuparsi anche di cuccioli malati.

Finchè, nel 2011, è nata Mici Felici, la pagina Facebook grazie alla quale l'ho contatta anch'io. 

"Una ragazza mi ha convinta ad iscrivermi su Facebook per aumentare la visibilità dei micetti che cercano casa. Tramite FB ho anche conosciuto tante volontarie e volontari, di tutta Italia: una rete di volontariato attraverso la quale ci si scambiano consigli, si condividono gioie e dolori, ci si aiuta concretamente per le adozioni dei gatti bisognosi."

E come gestisci i micetti, dove li tieni?
"All’inizio tenevo i gattini con la mamma gatta dove erano nati, dai contadini. Principalmente per strada. Stavano con la mamma fino al giorno dell’adozione, ed io mi occupavo delle prime cure veterinarie. 

Ma non sempre è possibile lasciarli fuori con la mamma fino al completo svezzamento: alcune volte si trovano in zone troppo trafficate o a rischio avvelenamento (non tutti amano gli animali, purtroppo) e così ci sono alcune volontarie che offrono ospitalità per i mici che cercano casa. In questo modo i gattini piccoli, quelli che non stanno bene, quelli in zone pericolose e quelli troppo selvatici, hanno un posto sicuro dove passare le settimane (a volte anche i mesi) prima di trovare casa.

Chi si occupa di gatti cerca di tenere sempre separati i gattini per la loro provenienza, per evitare possibili contagi di malattie virali. Il tempo che i gattini restano in “stallo” (ovvero in casa di una volontaria in attesa di adozione) è molto variabile. Dipende dalla salute del micetto, dalla richiesta di adozione… alcuni passano mesi senza trovare la famiglia giusta, altri in un paio di settimane trovano casa. I mici restano comunque dalle volontarie fino a che non trovano adozione."

E tutti trovano casa?
"Fino ad ora si, chi prima, chi dopo… Per le adozioni io prediligo adozioni relativamente vicine, dove posso restare in contatto nel tempo e seguire i micetti nel caso ci fossero problemi, ma alle volte li porto anche fuori regione."

Un impegno non da poco, sia di tempi che economico. 
"Aiutare i gatti che cercano casa non è semplice, ci sono molti costi da sostenere, molte spese veterinarie, il cibo da comprare, le medicine… e richiede molto tempo! 
Io sono ancora una studentessa universitaria, studio per diventare maestra. Quindi per aiutare i gattini cerco di inventarmi di tutto: ho creato lavoretti in pasta di mais (che ora ho un poco abbandonato, ma vorrei riprendere) e tramite FB ho fatto eventi di raccolte fondi, come i calendari, le lotterie… 

Cerco di chiedere aiuto il meno possibile, ma alle volte ci sono emergenze e senza un aiuto economico non si riescono a sostenere le cure di mici malati. 
Mici Felici non è un’associazione, è solo la mia pagina FB… Ho pensato diverse volte di creare un’associazione, ma per ora preferisco continuare ad essere una volontaria autonoma e collaborare con le altre volontarie come ho sempre fatto."

Insomma, direi che la tua attività è quasi una missione!
"È un’attività impegnativa essere Gattara. Comporta molte gioie e soddisfazioni quando i micetti trovano casa, quando si salvano da gravi malattie (tipo il parvovirus o la rinotracheite), ma dall’altra parte c’è tanta tristezza, quella che la gente non vede il più delle volte: le notti in bianco per accudire mici che stanno male, i mici che non sopravvivono e che si spengono tra le braccia delle volontarie… chi non c’è dentro non può capire, forse anche perché noi volontari cerchiamo di non mostrare tutta la sofferenza che c’è dietro…"

Grazie a Mici Felici martedì pomeriggio è arrivata una meravigliosa micia nera e bianca di 4 mesi: Holly è stato il nome che ha "vinto" sulla mia lista di 37!

Non è facile per un'inesperta come me capire le sue esigenze...ma lei - per ora - ha dimostrato un buon carattere. E comunque Federica ci "assiste" a distanza con pazienza e grande disponibilità.

Come sono stati questi 3 giorni di convivenza? Mi chiedo perché non ho mai avuto un gatto prima d'ora! Ci sfregoliamo, ci strusciamo, ci coccoliamo... Ci ha comprati subito, con quel suo musetto e l'infinita quantità di fusa che pare un trattore! Mi fa compagnia mentre lavoro (anche se non è sempre comodo digitare mentre lei zampetta sulla tastiera!), e mi sveglia (stamattina alle 5.45!) leccandomi il naso.

E pure la Mati, sebbene un po' timorosa, oggi l'ha addirittura presa in braccio.

Felici che sia la terza femmina della nostra famiglia!


venerdì 7 febbraio 2014

Le memorie di Matilde: scrivere un diario per non dimenticare

Ho la memoria corta. Con la gravidanza la cosa è peggiorata, ma in generale ho l'abitudine di scrivermi tutto.
Consapevole del mio limite (uno dei tanti) ho iniziato a descrivere i momenti importanti della vita di Matilde. Dalla gravidanza in poi ho preso nota di avvenimenti, emozioni, progressi ed esperienze. Perché ho ancora negli occhi   il primo passo di Matilde, ma non chiedetemi che giorno/mese/anno fosse: non ne ho idea!

In gravidanza ho scritto tutto in un blog, di cui neppure ricordo il nome, e che ho abbandonato quasi subito.
Dopo la nascita di Matilde avevo un piccolo quadernetto, sostituito poi con le preziose email che scambiavamo con le mamme conosciute al corso pre parto. Email in cui il confronto era anche un fondamentale supporto nei primi mesi della nostra nuova vita da mamme. 
Il tempo è passato, ognuna di noi è tornata al suo tran tran, e le email sono diventate sempre più rare. 

Così sono passata alla cara vecchia carta. Un bel quaderno su cui ho segnato tante cose: dentini, sorrisi, paroline, sonno...
Il problema del cartaceo è che deve avere un suo posto. Il mio quaderno era sul mio comodino. Ricordo lucidamente il giorno che ho voluto fare ordine. E ricordo pure lucidamente  che mi sono detta: 'questo quaderno è prezioso! Lo metto qui, così non sta in mezzo, e quando serve lo prendo'. 
Ecco... Il 'qui' mi sfugge. Ho provato a cercare nei luoghi 'logici' in cui normalmente si potrebbe mettere un tale quaderno, ma non lo trovo più.
Prima o poi la nostra casa - che fagocita cose di ogni genere, facendocele ritrovare nei posti e momenti più improbabili - c'è lo renderà. È successo con un passaporto, con dei polsini, con una maglia...

Ma intanto? Dove scrivere tutto? Ho riflettuto. Sono una donna tecnologica: perché non cercare l'app di un diario? E così ho fatto: ho letto qualche recensione, ho cercato di capire quale poteva avere le caratteristiche più interessanti, e alla fine mi sono affidata a Day One.
L'ho acquistata nell'App Store per 4,99 euro, e devo dire che mi soddisfa proprio! 
Innanzitutto: è facile da usare. In inglese, ma con pochi comandi da 'capire'. Quattro numeri di password per accedere, e 
Poi permette di inserire le foto. A volte le immagini raccontano più di 1000 parole (lo so, da copywriter non lo dovrei dire!!!), soprattutto quando si tratta di bambini, con le loro smorfie, i loro momenti importanti, le loro feste e i loro giochi. Sarà bello far leggere, ma anche vedere, a Matilde ciò che faceva!

Altra cosa carina: permette di scegliere sia data  sia luogo del post (anche temperatura esterna, volendo), acquisendo in automatico i dati connessi all'eventuale fotografia inserita. Così è facile ricordare quando è successo qualcosa, anche se lo scriviamo a posteriori.

Ultimo, ma non meno importante, i tag: per ogni racconto si possono inserire delle paroline che permettono di categorizzare quell'evento in base a diversi criteri. 
Per esempio, 'compleanno' permetterà di mostrare tutti i post legati al compleanno di Matilde. Immaginando di scrivere finché sarò nonna, se ne potrebbero contare svariati. Poter leggere solo i post dedicati al compleanno aiuterà molto nelle ricerche.

Ieri ho acquistato la versione di Day one per Mac (8,99 euro) così smartphone, tablet e computer sono connessi: scrivendo, rivedendo e sistemando sui vari supporti le cose, le ritrovo aggiornate ovunque.
Ho anche provato ad esportare il diario: si crea un file PDF facilmente condivisibile, o stampabile.
Cosa che avevo cercato di fare tempo fa, raccogliendo gli scritti virtuali (blog ed email) e le immagini abbinate in un programma che crea album fotografici. Ma non lo avevo poi mai stampato.
Prima o poi porterò tutto qui.

Sicuramente esistono altri programmi interessanti adatti a questo scopo (molti proprio dedicati a mamme e bimbi). Voi avete provato altri tipi diario?

mercoledì 29 gennaio 2014

Idee per le giornate di febbre

L'influenza ha colpito. Prima me, e poi la mia piccola.
E quindi...per non passare le giornate davanti alla tv, che fare?
La questione "trascorrere le giornate in casa" - che si tratti di pioggia o malattia - è sempre stato un piccolo cruccio. 
Capisco che Matilde si annoi, anche perché io non sono molto brava nei giochi di bambole ecc...
Quindi non mi resta che armarmi di inventiva, e cercare di coinvolgerla in cose più "pratiche".
sabato un gioco che arriva dritto dritto dalla mia infanzia ci ha impegnate per un paio d'ore. Ricordate le Cristal Ball? Quei tubetti di materiale gommoso colorato da mettere su un'estremità di una specie di cannuccia, e che soffiando fa le bolle?

A casa malati? Evviva le bolle!

Ecco: a distanza di 30 anni sono ancora un ottimo passatempo! Si soffiano, si gioca un po', e poi si scoppiano con enorme divertimento dei bimbi.
Stavolta mi sono anche armata di cartoncini colorati, e di argilla. Abbiamo decorato una scatola e abbiamo creato dei medaglioni di argilla da attaccarci sopra. Abbiamo anche fatto una piccola ape con la scatolina gialla delle sorpresine degli ovetti e del pannolenci. 
E mi sono pure ricordata dei pompon da fare con la lana.



Ma devo dire la verità, non so se mi diverto più io o lei: dopo un po' che stiamo facendo lavoretti manuali, lei inizia a stufarsi, e mi lascia li a continuare da sola, preferendo accendere un po' di tv.
Prima o poi capirò se il problema è la mia incapacità di coinvolgerla, o lei che è piccola. O magari - semplicemente - trova noioso fare ciò che le propongo!

venerdì 24 gennaio 2014

Le presentazioni...

Da quando ho avuto l’idea di creare il sito Genitori a Trento e dintorni sto pensando a questo blog. Perché, mi sono detta, se nel gruppo Facebook, in qualità di amministratore, devo in qualche modo mantenermi “al di sopra delle parti”, e nel sito gli spazi sono dedicati alle risposte dei genitori, vorrei avere un posto tutto mio, in cui raccontare i miei angoli di vita.

Quelli interessanti per tutti, o per molti: un incontro utile e illuminante (magari di aiuto per chiarire e risolvere dubbi di molti), una gita particolarmente interessante e piacevole, un lavoretto fatto con la mia bimba, o anche solo qualche pensiero sull’essere mamma, sulla difficoltà di conciliare tempi e ritmi in una vita sempre frenetica, o raccontare ciò che mi pare di imparare quotidianamente nel mio rapporto con mia figlia.

Dunque, in sostanza: penso concretamente al blog da settembre, e non ho ancora deciso bene che cosa ci scriverò! Ma sono certa che lo spunto arriverà facilmente da tutto ciò che potrà succedere da oggi in poi! E magari anche grazie a chi avrà la voglia e la pazienza di leggermi.

Come è giusto sia la prima volta che ci si incontra, ecco una mia breve presentazione.
Sono Maria Paola Cordella, e il 1 febbraio 2014 compirò 40 anni. E non me li sento. E continuo ad avere un piccolo moto di fastidio quando mi dicono “ma come li porti bene!”. Perché sono assolutamente convinta che uno, a 40 anni, sia giovanissimo!

La mia bimba – Matilde – è arrivata a riempire le nostre vite di emozioni fino a quel momento sconosciute in un caldo mattino d’estate. È nata con taglio cesareo (con mio dispiacere…o forse no, dopo aver sentito certe storie!), ho avuto la grande fortuna di poter allattare senza nessun intoppo fino agli 11 mesi (ma 11 precisi precisi: non un giorno di più, non uno di meno!), per scelta sua.

Ho dormito poco per lungo tempo, ho applicato per un breve periodo il metodo “fate la nanna” per sopravvivere (e mia figlia non pare traumatizzata), non l’ho abituata al lettone perché faceva un sacco di rumori e non mi lasciava dormire, e lei stessa, sin da piccolissima, chiede tornare nel suo letto dopo poco, se qualche volta passa a trovarci nel cuore della notte.

Ecco: quello che di solito ci si racconta fra neomamme è più o meno tutto qui.

La mia vita è cambiata da quando è arrivata Matilde? Tantissimo! E all’inizio non è stato facile.
Credo di aver ritrovato un equilibrio dopo circa 2 anni di rapporto madre figlia. Che non vuol dire che non abbia amato mia figlia fino a quel momento, non mi si fraintenda! Solo che non è stato facile ricostruire in questo ruolo l’immagine che mi ero creata di me come giovane donna indipendente e curiosa del mondo.

Diciamo che ho spostato la mia curiosità (anche) su argomenti molto diversi da quelli a cui ero abituata fino a quel momento (pannolini e notti insonni – nel primissimo periodo!), ma cercando di affrontare la cosa con lucida consapevolezza, anche grazie all’aiuto delle mie più care amiche, che mi hanno impedito di partire con un biglietto di sola andata per il pianeta “mamma e basta”.

Grazie al gruppo di Facebook, che ho creato per mia esigenza personale, e del quale certo non mi attendevo tanto successo, ho incontrato tante mamme, e mi sono sentita in compagnia (anche se virtuale) un sacco di volte in cui lo sconforto o i dubbi stavano per prendere il sopravvento.

E poi…una cosa tira l’altra: contatti, conoscenze, amicizie… ed eccomi qui, a vivere una vita che mai avrei immaginato 5 anni fa! Fatta del mio amato lavoro, di amiche mamme, di bambini e della mia città: Trento.

Che altro aggiungere? Che Matilde ha un papà bravissimo, adorabile e innamorato di sua figlia (e di me!), ma molto riservato. E che quindi, per rispetto nei confronti di questo suo modi di essere, verrà nominato solo se strettamente necessario.

E che viviamo in simbiosi con il mio adorato papà: uno splendido nonno, paziente e ironico, sensibile e accogliente. Prima che splendido nonno, la verità, è un meraviglioso papà. Ma si sa, quando arrivano i nipotini, hanno la precedenza su tutto, tant’è che a volte mi chiama Matilde.

Nel prossimo post vedrò di essere più concreta.

Per ora, piacere di aver fatto la tua conoscenza.